FORIO - ISOLA D'ISCHIA
Èstato un incontro ravvicinato e non casuale di talenti made in Ischia, che hanno in comune un “occhio” non convenzionale e, soprattutto, una infinita passione per i colpi cromatici (penso alle mitiche cartoline di enzo rando...). Le immagini del fotoracconto restituiscono uno spicchio delle loro affinità elettive che intravedo e che forse – paradossalmente – sfuggono a entrambi. Tant’è.
Per introdurre il discorso su manuel comincio da un minimo elenco di opere e autori, must che sono andato a pizzicare in giro per gallerie e musei d’europa, e non solo. ecco “Il battello bianco” di Georges braque (è a Londra), che è coevo (1906) del “rimorchiatore sulla Senna” di maurice de Vlaminck (si trova a washington). Sono glorie mistiche del Fauvismo che esploderà con la tavolozza incomparabile di raoul dufy (qui c’è il suo “Porto” del 1908, che ho fotografato a berlino); sconfinando negli usa con George bellows, che conoscevo per i suoi quadri magistrali sul pugilato, e che mi ha folgorato alla national Gallery londinese con gli “uomini dei docks” di manhattan (1912).
Osservate la sequenza di capolavori di oltre un secolo fa, misuratene le distanze e le convergenze, pensate alle atmosfere, costruitevi una narrazione. aggiungete l’eco suadente dell’arte cinetica, dell’optical art e ovviamente della Pop art. Quindi, soffermatevi a osservare i lavori di manuel, in particolare quelli della serie denominata “cargo”: alle sue spalle intravedo quei grandi maestri, le lezioni digerite e le citazioni ormai superate, non desiderate, eppure necessarie alla comprensione di un percorso originale e contemporaneo.
Una via dell’arte complessa e consapevole, quella di manuel che, per vocazione, adora mantenere un basso profilo: è illustratore, grafico, fotografo, interior designer, artigiano, arredatore, pittore multimaterico, sperimentatore di materiali e attentissimo alla eco-compatibilità; scultore, progettista e molto altro.
Ed è sempre alla ricerca di un contatto attivo con lo spettatore e/o il committente, di un attimo fuggente da cogliere proprio mentre la sua opera sembra quasi modificarsi per un dettaglio che non è mai innocuo, esattamente quando il soggetto della stessa sembra semplicemente figlio del Fotorealismo o dell’Iperrealismo.
L’attimo fuggente, inoltre, è dentro il leit-motiv tematico di manuel: i “cargo”, le navi, le gru, i porti, gli avanporti e le barche; e poi le macchine, le vespe e gli adorati (da mO) furgoni, e piccoli tre ruote; ancora ruote, moto e motori. tutto un mondo in movimento, anche tellurico; lento o velocissimo, quasi sempre privo di umani, e da fermare per un nanosecondo prima che riprenda a spostarsi.
L’ultima volta che ho scritto di lui, un anno e mezzo fa, manuel era stato selezionato tra trentotto colleghi di ogni parte del mondo per partecipare al concorso internazionale “romadesignlab”, dedicato all’eco-design autoprodotto, con uno dei suoi pezzi più vibranti, la “Vespa a dondolo di cartone”. a proposito: il cartone è rigorosamente riciclato e diventa supporto pittorico o complemento di arredo, perforato e leggero, allegoria di una filosofia caratterizzante, concreta, priva di ghirigori e fronzoli. Sono ancora convinto, come scrivevo allora, che manuel di chiara esprime una potenza iconografica che critica in modo davvero efficace la contemporaneità alla quale, anagraficamente, appartiene.
I tempi odierni sono insopportabili per la massiva autoreferenzialità comunicativa, “verde” a chiacchiere, ma senza slancio collettivo verso la vera salvaguardia del pianeta, o la solidarietà per l’umanità dolente, che è la stessa cosa. Per contrasto manuel “dichiara” il suo pensiero caldo con la tecnica dell’acrilico materico, con rifiniture a smalti e pastelli, o con l’abilità finissima con la quale utilizza l’olio su tela, in una effervescenza di colori che è pure un inno ai (miei) maestri sopra ricordati. È fantastico quando indugia nei dettagli, elaborando/traforando la realtà tangibile, per lasciare spazio alla libertà visionaria. e quando ci introduce alle atmosfere essenziali delle estese e solitarie zone commerciali delle aree portuali, tra container e lampioni, gru e catene, delineate dalla quinta teatrale delle grandi navi da carico che navigano sullo sfondo e, guarda un po’, anche nel mio sangue marinaro; o delle chiatte apparentemente immobili sui canali e i fiumi mitteleuropei, in un contesto di luoghi e scorci che non lasciano spazio alle figure umane, sempre evocate in virtù della loro assenza.
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