L’uva l’avevano portata per primi i coloni greci dalla Tessaglia, il Vesuvio ci ha aggiunto la fertilità del terreno e il risultato sono i grandi vini di queste terre.
La falanghina, la coda di volpe, l’uva caprettone, la verdesca tra i bianchi; e, tra i rossi, lo sciascinoso, l’aglianico e il piedirosso restano i vitigni più diffusi ai quali si aggiunge la catalanesca (uva da tavola) che, come ricorda il nome, deve il suo insediamento grazie agli spagnoli. All’estero tutti conoscono il Lacryma Christi, che nasce dal mix di tutte le varietà ricordate, e attribuisce prestigio alla DOC Vesuvio.
Non solo vino, però. Il carciofo di Schito, nei dintorni di Castellammare, è un esempio eloquente della qualità raggiunta dalle eccellenze del territorio. Restando in zona, ecco i tipici biscotti di Castellammare di forma allungata nella loro caratteristica carta azzurra lucida e i biscotti all’anice, aromatici, abbinati storicamente all’Acqua della Madonna.
Stimolare le difese naturali della vite con la propoli
Ė l’intuizione di un giovane enologo vesuviano che imita le api per rispettare l’ecosistema Trarre spunto dalla natura, imitarla e impattare il meno possibile sull’ambiente è l’aspirazione di Antonio Giuliano , giovane enologo di Piazzolla di Nola appena venticinquenne, che risponde al richiamo della terra nel modo più semplice e genuino possibile, ovvero rispettandola. E se si tratta di vivere armonia con l’ambiente, come non trarre ispirazioni dalle laboriose api, capaci di leggere i misteri della natura e farli propri, riuscendo ad “autoprodurre” tutto ciò che è necessario per restare in equilibrio con l’ecosistema? Da una sapiente osservazione delle risorse naturali, infatti, le api producono la propoli a partire da una resina grezza che si trova su alcuni alberi. Dopo averla...
Favorita dai terreni di natura vulcanica, ricchi di minerali e di potassio, l’albicocca è una produzione tipica dell’area vesuviana.. Già nell'età di Nerone questo frutto apparve con il nome latino di armeniacum nel De agrìcultura di Cocumella. Dal 1583 la testimonianza della sua presenza in Campania è chiara e il primo a selezionarne i vari tipi fu Gian Battista Della Porta che, distingueva due tipi: le «bericocche» e le crisomele («frutti d’oro»). A metà Ottocento l’albicocco diffusissimo con diverse varietà. Oggi la denominazione «albicocca vesuviana» indica oltre quaranta biotipi che si differenziano per le dimensioni, il profumo, il sapore. La particolarità dei nomi è a dir poco poetica: Boccuccia liscia, Boccuccia spinosa, Cafona, Ceccona, Fracasso, Palummella, Portici, San Castrese, Vitillo e Pellecchiella. Queste ultime due sono le più note: la prima per la dolcezza della polpa, la seconda per il gusto amarognolo. I frutti maturano dalla fine di maggio alla fine di luglio.
LA RICETTA
Pane e pomodoro
Un vero e proprio rituale è legato alla preparazione di uno dei piatti più gustosi della storia alimentare dei secoli recenti: il pane con il pomodoro. Merenda perfetta, spuntino veloce, con i colori dell’energia vitale, il sole e il profumo della bontà naturale. Le mamme staccavano i pomodorini dal «piennolo», li schiacciavano leggermente strofinandoli sul pane e li condivano con un pizzico di sale e un filo d’olio, a volte aggiungendo un po’ d’origano. L’ormai celeberrimo pomodorino vesuviano da serbo viene chiamato del «piennolo» (pendolo) o dello «spongillo» (spunzillo), perché al termine del raccolto, tra luglio e agosto con frutti non ancora del tutto maturi, i pomodorini vengono riuniti in un grappolo e appesi in posti ventilati nelle case di campagna.
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