La memoria dell’antico splendore era andata quasi perduta tra gli abitanti di Resina.
Il passato era sepolto sotto decine di metri di pappamonte, la roccia formata dal fango e dai materiali vulcanici solidificati, ed era difficile anche immaginarlo. Fin quando nel 1710 Enzechetta, così era soprannominato il contadino Ambrogio Nocerino, non si mise a scavare un pozzo, ché gli serviva l’acqua per l’orto, e trovò dei pezzi di marmo. A notarli fu poi un marmoraro che in quel periodo stava lavorando là vicino, nella villa del duca D’Elboeuf in costruzione, e che li acquistò pensando di poterli utilizzare in alcune chiese di Napoli. La concatenazione delle casualità fece sì che il duca venisse a conoscenza del ritrovamento e che decidesse di acquistare il pozzo, da cui nei mesi successivi fece scavare vari cunicoli per esplorare il sottosuolo. Che restituì statue, parti di colonne e altri reperti di marmo, perfetti per adornare la villa appena ultimata. La dovizia di pezzi di pregio e di chiara manifattura romana segnalò che doveva essere stato raggiunto il livello dell’antica Ercolano. Si pensò ad un tempio dedicato a Ercole, invece si trattava del teatro della città. Lo scavo fu sospeso e dovettero passare molti anni prima della ripresa nel 1738, in contemporanea con i lavori per la realizzazione della nuova reggia estiva che Carlo di Borbone stava facendo costruire a Portici. Ad avviare il nuovo scavo fu l’archeologo spagnolo Roque Joaquìn d’Alcubierre, che in seguito avrebbe cominciato a riportare alla luce Pompei e Stabia. Nel 1750 entrò nella direzione dello scavo anche lo svizzero Karl Weber, che fece importanti scoperte, a cominciare nel 1752 dalla Villa dei Papiri, che restituì il prezioso fondo di mille papiri carbonizzati, attirando l’attenzione dell’Europa su Ercolano. Fu dagli edifici romani che emergevano dal sottosuolo che prese ispirazione il Neoclassicismo. E fu la forza attrattiva delle scoperte della città sepolta dall’eruzione del Vesuvio a condurre in Italia tanti giovani nobili europei, lanciando la moda del Grand Tour. Già nel 1751 tutti i reperti furono trasferiti nella Real Villa di Portici, dove fu creato l’Herculanense Museum, un vero e proprio museo di cui godevano il sovrano con la corte e gli ospiti stranieri. E in quegli anni cominciarono a sorgere le sontuose ville del Miglio d’Oro, tra Ercolano e Torre del Greco, a rinnovare i fasti delle ville romane che l’archeologia stava restituendo alla conoscenza del mondo moderno.
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