“Kaire ‘o polita apragopoleos”, “Salve, cittadino del paese dell’ozio”. Per la scritta di benvenuto sull’ingresso della sua eccentrica casa caprese, il colonnello John Clay MacKowen aveva scelto il greco antico ed evocato l’appellativo “apragopolis”, ovvero “isola del dolce far niente” con cui l’imperatore Augusto, che tanto vi era legato, amava definire Capri.
Tutti riferimenti chiari alla sua grande passione per l’archeologia, il motivo principale che lo aveva spinto a trasferirsi in Italia e in particolare nell’isola prediletta dagli imperatori romani da New Orleans, dove aveva esercitato la professione di medico e dove aveva combattuto nell’esercito sudista, durante la Guerra di Secessione americana. A Capri, il colonnello si fermò per mettere radici. Lì conobbe Maria Cimino, con cui visse per tutto il periodo caprese e da cui ebbe una figlia, Giulia. E lì, nel cuore di Anacapri, si dedicò alla costruzione di un edificio che lo rappresentasse nella sua personalità e con tutte le sue passioni. Il risultato di un impegno costruttivo durato dal 1876 e il 1899 fu, dunque, uno degli edifici più particolari e riconoscibili dell’isola, ben presto identificato come Casa Rossa, dal rosso pompeiano che la contraddistingueva, allora come oggi, nel candore delle architetture circostanti.
L’area su cui sorse la nuova costruzione era già occupata da una torre aragonese quattrocentesca, di cui si notano ancora i resti dietro al cortile, che ispirò le scelte architettoniche, ispirate a uno stile eclettico che ne comprendeva diversi di varie epoche. Strutture merlate di gusto medievale, colonne e frammenti marmorei antichi integrati nella costruzione sia all’interno che all’esterno, finestre bifore con decorazioni marmoree, elementi moreschi ed esoterici, il tutto composto in un’armonia peculiare dal fascino indiscusso.
Negli anni trascorsi a Capri, MacKowen coltivò il suo amore per l’archeologia nei siti isolani, dove recuperò vari reperti che andarono ad arricchire la sua collezione, custodita nel suo nuovo palazzo. Con la conoscenza dell’isola che aveva acquisito, poté dare alle stampe nel 1884 la prima monografia dedicata all’Isola Azzurra.
Tornato il colonnello nel 1901 in America, dove perse la vita durante un conflitto a fuoco, la casa passò agli eredi e, in seguito, ad altri proprietari privati, prima di essere acquisita dalla Soprintendenza Per i Beni architettonici e il paesaggio, che ha provveduto al completo restauro come spazio espositivo, affidandola poi al Comune di Anacapri.
Nel 2003 il Comune aveva acquistato la prestigiosa collezione di dipinti dei fratelli Raskovich, esposta con successo al Grand Hotel Quisisana. Si tratta di olii e acquerelli che illustrano scene di vita quotidiana e tradizioni capresi, luoghi e sentieri panoramici, chiese, antiche case e angoli pittoreschi, tutte testimonianze preziose di una realtà in parte scomparsa. Queste opere costituiscono il nucleo della pinacoteca creata all’interno della Casa Rossa, dove è allestita la mostra permanente “L’isola dipinta: viaggio pittorico a Capri ed Anacapri tra Ottocento e Novecento”, con dipinti di Barrett, De Montalant, Carabain, Giordano, Federico, Casciaro, Brancaccio, Ferrarini, Hay, Vertunni, Carelli, Sain,Payton Reid, Lovatti, Coleman, Gonsalvo e Gabriele Carelli.
Nella corte interna, intorno alla quale sono disposti tutti gli spazi coperti dell’edificio, è ospitato un antiquarium con reperti di epoca romana (in particolare, frammenti di sculture ed epigrafi rinvenuti a Villa Damecuta e la statua di una sacerdotessa del I secolo), manufatti egizi e bassorilievi medievali recuperati in loco o frutto dei viaggi del colonnello.
Dal 2008 sono esposte nella casa museo anche le tre statue mutili ritrovate nella Grotta Azzurra tra il 1964 e 1974, una raffigurante Nettuno e le altre due il figlio del dio del mare, Tritone.
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