Tutta in salita, per arrivare sulla collina a oltre quattrocento metri di altezza, dove si apre la visuale fino al mare del golfo di Napoli. Casa Hirta la chiamavano nel Medio Evo, proprio per sottolineare la posizione collinare di quel borgo che si era andato sviluppando fin dal IX secolo, in piena epoca longobarda, intorno al castello, che si diceva custodisse delle uova d’oro nelle segrete. E fu la difesa assicurata dalla fortezza che convinse a trasferirsi lì anche gli abitanti fuoriusciti da Calatia, dopo che l’antica città aveva subito nell’880 l’oltraggio della distruzione da parte dei Saraceni.
Era imponente, la rocca, con le sue quattro torri di avvistamento, le solide mura e il maschio, alto ben trentadue metri, a dominare, allora come oggi, il panorama del borgo. Dove i caratteri distintivi di quel periodo sono le vie strette, i portali medievali, la pietra degli edifici, gli elementi architettonici gotici. L’ambientazione ideale per le novelle del Decameron, scelta da Pasolini per la sua celebre opera cinematografica.
Nel centro di Casa Hirta, divenuta Caserta e passata sotto il dominio normanno, già sede vescovile fin dall’abbandono di Calatia, sorse la nuova cattedrale per volontà del vescovo Rainulfo.
Sotto gli Svevi, controllata da Riccardo Di Lauro, Caserta continuò la sua espansione, che invece si bloccò con l’avvento degli Aragonesi, quando cominciò un inesorabile declino, segnato da un progressivo spopolamento già nel Cinquecento, quando il conte Giulio Antonio Acquaviva lasciò la residenza nella città alta, per trasferirsi nella sottostante pianura. Dove stava per nascere una nuova Caserta. Mentre quella in collina, distante una decina di chilometri, diventava Casertavecchia. Toponimo con cui è identificata e conosciuta ancora oggi che il suo borgo è tornato ad essere apprezzato sia per la posizione che per la bellezza dell’insediamento antico, proclamato monumento nazionale nel 1960.
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