A soli quattordici anni dalla sua canonizzazione, doveva essere l’omaggio dei Gesuiti napoletani a San Francesco Saverio, missionario della Compagnia di Gesù in Oriente e grande amico del fondatore Sant’Ignazio di Loyola.
Era il 2 febbraio 1636, il giorno della Candelora, quando fu messa la prima pietra dell’edificio sacro, a poca distanza dalla fabbrica, esternamente ultimata, del nuovo grande palazzo reale, residenza dei vicerè spagnoli. A firmare il progetto iniziale era stato l’architetto Giovanni Giacomo Di Conforto, che aveva già legato il suo nome alla costruzione in tutto o in parte di alcune delle più importanti chiese cittadine dell’epoca, oltre ad aver diretto i lavori della Certosa di San Martino. Ma anche nel caso della nuova chiesa dei Gesuiti, com’era accaduto anche in precedenza, a completare l’opera fu il grande Cosimo Fanzago.
Tra i contributi di quest’ultimo ci fu fu il disegno del registro inferiore della facciata, realizzato in piperno e marmo. In origine, davanti all’ingresso della chiesa era collocata una cancellata sorretta da pilastri di piperno, il cui disegno è stato attribuito a Francesco Antonio Picchiatti, altro architetto di fama dell’epoca, impegnato nelle opere all’interno del nuovo palazzo reale e specializzato nella realizzazione di edifici sacri. La cancellata fu rimossa durante il Risanamento di fine Ottocento, quando la facciata fu inglobata nella nuova struttura della Galleria. Furono eliminate anche le volte laterali e la balaustra di Fanzago e venne inserito un timpano classico progettato da Conforto Molto più tardo, ultimato tra il 1738 e il 1759, fu il secondo registro della facciata, più semplice e lineare. La chiesa fu completata nel 1665, anche grazie ai fondi messi a disposizione dalla potente viceregina Caterina de la Cerda y Sandoval.
La chiesa a croce latina presenta un’unica navata, con tre cappelle su ogni lato, due cappelle più ampie ai lati del transetto, una profonda abside e una cupola, che si sviluppa in corrispondenza della crociera.
Di grande impatto per le decorazioni e le pitture che impreziosiscono ogni parte dell’interno, la chiesa offre un colpo d’occhio straordinario, anche grazie all’affresco sulla volta, opera di Paolo De Matteis, che raffigura Il trionfo della Religione sull’eresia con San Francesco Saverio, Sant’Ignazio di Loyola, San Francesco Borgio e i tre martiri giapponesi. Del De Matteis sono anche altri dipinti custoditi nella chiesa.
Sull’altare maggiore campeggiava inizialmente una tela dedicata a San Francesco Saverio dipinta da Salvator Rosa, che non aveva trovato il consenso dei padri committenti, i quali l’avevano sostituita con un San Francesco Saverio che battezza gli abitanti dell’India opera di Cesare Francanzano; in seguito, Luca Giordanoaveva aggiunto la figura di Sant’Ignazio di Loyola che rende grazie all’Eterno Padre. Quell’opera è attualmente presso il Museo di Capodimonte.
Di rilievo sono, ai lati dell’altare maggiore, le statue di David e Mosè di Domenico Antonio Vaccaro. Sull’altare del transetto destro ci sono quattro Angeli con i segni di San Francesco Saverio, realizzati da Giuseppe Sanmartino tra il 1760 e il 1765, mentre i quattro Angeli con i simboli dell’Immacolata posti nel nel transetto sinistro sono di Domenico Antonio Vaccaro.
Quando nel 1767 venne soppressa ed espulsa dal Regno di Napoli la Compagnia di Gesù, la chiesa napoletana entrò a far parte del patrimonio dei Borbone. In seguito, la proprietà fu traferita ai Cavalieri Costantiniani, che decisero di onorare il re Ferdinando IV, dedicando la chiesa a San Ferdinando III d’Aragona. Sull’altare maggiore fu allora collocata la tela di Federico Maldarelli raffigurante San Ferdinando.
Sottratta ai Cavalieri all’inizio del Periodo francese, a partire dal 1827, la chiesa passò alla Reale Arciconfraternita di Nostra Signora dei Sette Dolori di cui erano membri i re Borbone e, dopo l’Unità d’Italia, i sovrani Savoia.
In San Ferdinando, nota per questo anche come Chiesa degli Artisti, si sono celebrati negli ultimi decenni i funerali di alcuni dei più famosi artisti e uomini di cultura della città di Partenope.
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