Uno dei principali edifici della Napoli di età angioina è senz’altro la chiesa di Sant’Eligio Maggiore, che si trova a due passi da Piazza Mercato.
Fu fondata, unitamente a un ospedale, da Giovanni Dottun, Guglielmo di Borgogna e Giovanni de Lions, tre francesi appartenenti alla corte di re Carlo I d’Angiò. Questi ottennero nel 1270 dei terreni nel Campo Moricino e istituirono una confraternita dedicata ai santi Dionigi, Martino ed Eligio con lo scopo di ospitare nell’ospedale gli indigenti e gli ammalati. Con gli Angioini la città di Napoli conobbe un periodo molto florido tant’è che si verificò un rinnovamento sia delle strutture urbane che delle fabbriche religiose. Nel 1546, poi, don Pedro di Toledo fece ricostruire completamente l’ospedale e fondò un educandato femminile, chiamato Conservatorio per le vergini, dove le fanciulle studiavano medicina in modo da prestare servizio infermieristico presso l'annesso ospedale. In tempi più recenti, l’intero complesso fu colpito da un bombardamento nel marzo del 1943 durante il secondo conflitto mondiale e, solo dopo, si decise di optare per un restauro che riportasse la chiesa alla primitiva forma gotica, liberandola dagli stucchi e dai rimaneggiamenti apposti nel corso dei secoli.
La chiesa di Sant’Eligio Maggiore, costruita principalmente in tufo giallo e in piperno, rappresenta un formidabile esempio di architettura gotica a Napoli. La corrente del gotico, così come oggi la intendiamo oggi, nacque in Francia nella regione dell’Ile-de-France ed ebbe un grande sviluppo tra i secoli XI e XIV, soprattutto nel nord Europa. In Italia, invece, il gotico non ebbe la stessa diffusione, dal momento che ebbe una difficile assimilazione dai maestri italiani dell’epoca, i quali, pur aderendo al nuovo stile, mantennero la loro tradizione rivolta al mondo classicheggiante. La chiesa di Sant’Eligio Maggiore è una felice eccezione, come si può vedere dalle sue forme rivolte verso l’alto e dagli archi a sesto acuto che caratterizzano l’interno dell’edificio. Il vero capolavoro della chiesa è però l’originale portale strombato, posto sul lato destro. Oggi si entra da qui, visto che la facciata principale è stata fagocitata dagli edifici adiacenti, a seguito delle stratificazioni urbanistiche. Questo meraviglioso portale in piperno è caratterizzato da un arco acuto e termina con una cuspide coronata da un pinnacolo.
Una volta entrati nella chiesa, si viene subito rapiti dall’austerità degli ambienti. L’edificio presenta tre navate, anche se a queste, a dire il vero, se ne aggiunge una quarta risalente alla fine del XVI secolo. La navata centrale e il transetto hanno una copertura a capriate lignee, mentre le navate laterali e l'abside presentano una copertura a volta costolonata in tufo giallo con le membrature in piperno. La quarta cappella di cui parlavamo, faceva parte dell’antico ospedale e in essa si possono ammirare affreschi del XIV secolo, di diversi autori, tra cui il Maestro della Cappella Leonessa in San Pietro a Maiella. La chiesa, comunque, conserva ancora le cappelle dedicate agli ordini e ai mestieri che contribuirono nel corso dei secoli alla realizzazione e alla ristrutturazione degli ambienti. La più celebre è senz’altro la cappella dei Macellai del Mercato con l’incorniciatura marmorea realizzata nel 1509 dalla bottega del Malvito, molto attiva in città nel corso del Cinquecento. Anche la cappella dei Sarti, dedicata a Sant’Angelo, presenta interessanti affreschi del 1531, opera dei pittori Giovan Paolo de Lupo e Giovanni Antonio Endece. Nel lato ovest della chiesa si può ammirare un pilastro su cui c’è una pittura datata alla fine del XIV secolo e quasi interamente conservata. L’opera raffigura Papa Urbano V che tiene tra le mani le teste di Pietro e Paolo, simbolo caratteristico della sua iconografia.
La chiesa di Sant’Eligio Maggiore una volta era ricca di opere d’arte, molte delle quali sono state oggi musealizzate o trasferite altrove. Tra le tante pensiamo al Giudizio Universale del pittore fiammingo Cornelius Smet (1578). La tavola, oggi conservata presso il Museo di Capodimonte, si trovava originariamente nel cappellone della crociera. Sembra che il nostro pittore si sia ispirato al celeberrimo Giudizio Universale di Michelangelo nella Cappella Sistina. Un tempo, poi, presso la cappella dedicata a San Mauro, c’era una Madonna della Misericordia di Francesco Solimena, che oggi è conservata presso l’istituto annesso alla chiesa.
All’esterno dell’edificio, campeggia sulla strada l’arco di Sant’Eligio (XV secolo), che collega il campanile della chiesa omonima con l’ospedale di epoca angioina. Nonostante i restauri, susseguitisi nel corso dei secoli, l’arco ha mantenuto l’impianto a due piani. Il primo piano, in stile gotico, ospita l’orologio e due testine umane che rappresentano una giovane e il duca Antonello Caracciolo, protagonisti di una leggenda di cui parleremo a breve. Il secondo piano, invece, ospita una finestra con stemmi aragonesi, dietro la quale i condannati aspettavano il momento della loro esecuzione.
La leggenda della fanciulla e di Antonello Caracciolo è stata narrata anche da Benedetto Croce in Storie e leggende napoletane. Si dice che il Caracciolo, nobiluomo spregiudicato, si fosse invaghito di una giovane dal nome Irene Malarba. Davanti alla riluttanza di quest’ultima, l’uomo fece ingiustamente condannare per omicidio il padre di lei. Il Caracciolo disse che avrebbe scarcerato il malcapitato solo se Irene avesse soddisfatto le sue voglie. Ciò avvenne e il padre di Irene Malarba fu liberato. A seguito di questi eventi, dalla Calabria, la famiglia della giovane venne a Napoli per invocare giustizia e ottenne il favore di Isabella di Trastàmara, figlia del sovrano Ferdinando II d’Aragona. La regina, una volta accertati i fatti, fece imprigionare il Caracciolo e lo obbligò a sposare Irene Malarba in modo da fornirle una cospicua dote. L’uomo fu decapitato in piazza Mercato per le nefandezze compiute. Poco prima della sua esecuzione, la giovane Irene, a cui era stato imposto di accompagnarlo fin sul patibolo, era improvvisamente caduta, trovando anch’essa la morte.
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