Accarezzava da tempo un’idea, Augusto III di Polonia ed elettore di Sassonia, che aveva fortemente voluto e sostenuto la fondazione della fabbrica di Meissen vicino a Dresda: costruire proprio nella città sassone, dove già si trovava una sua grande collezione di opere in porcellana, un Palazzo giapponese in cui tutti gli abbellimenti degli interni e gli arredi fossero di quella raffinata e delicata materia.

Se il sovrano non riuscì a portare a compimento l’ambizioso progetto, anni dopo fu la nipote Maria Amalia, consorte del re Carlo di Borbone, a concretizzare a Napoli quel sogno, seppure in versione molto ridotta, con il suo Salottino di Porcellana, una delle creazioni più stupefacenti della Real Fabbrica di Capodimonte.

L’opera venne ideata e progettata per il boudoir della regina nella reggia di Portici e fu portata a termine tra il 1757 e il 1759. Uno spazio di ottantuno metri quadri con un’altezza di sette metri, da foderare completamente di lastre di porcellana decorata realizzate dagli artefici della fabbrica di Capodimonte, secondo il gusto per le “cineserie” che era in voga in tutta Europa nel XVIII secolo. E Napoli non faceva eccezione, tanto più che proprio durante il regno di Carlo era stato istituito in città il Collegio dei Cinesi ad opera del missionario Matteo Ripa. Un primo nucleo di cultura orientale e di studio del cinese mandarino di rilievo europeo, che avrebbe in seguito generato il Real Istituto Orientale di Napoli.

Le lastre di porcellana bianca che ricoprivano le pareti del salottino erano decorate ad altorilievo con motivi prevalentemente esotici e scene fantastiche popolate da cinesi in miniatura. Non mancavano trionfi di fiori e frutti e neppure animali esotici e libri. Diversi cartigli recavano lodi al re Carlo in mandarino. In tutto ben tremila pezzi spessi un centimetro, montati con viti con precisione millimetrica su un’armatura di legno. A rendere ancora più sontuoso l’effetto contribuivano le sei specchiere di grandi dimensioni arrivate dalla Francia, ulteriormente abbellite da festoni floreali di porcellana che scendevano sugli specchi. 

Progettata l’intera opera dall’artista e scenografo Giovan Battista Natali, le lastre furono realizzate da Giuseppe Gricci e la decorazione pittorica da Johann Sigmund Fischer e Luigi Restile.

Il soffitto, invece, era in stucco con decorazioni ad imitazione della maiolica e fu opera di Mattia Gasparini. Al centro era collocato il grande lampadario di porcellana a dodici bracci in verde, azzurro e lilla. Sul fusto a forma di palma era rappresentata una scimmia, mentre alla base un cinese seduto pungola un drago con il ventaglio. Sempre in porcellana decorata erano i candelieri a tre bracci. E probabilmente anche il pavimento era in porcellana. Come era previsto che lo fossero anche mobili e consolle. A completare l’arredo c’erano porte di legno finemente intagliate e ricchi tendaggi in seta di San Leucio.

La regina, che aveva seguito ogni fase del lavoro, supervisionandolo personalmente, ebbe il piacere di vederlo ultimato poco prima della sua repentina partenza per la Spagna. Quanto ci tenesse, lo dimostrò facendone realizzare una copia nella reggia di Aranjuez dalle maestranze portate da Napoli, di cui faceva parte anche Gricci.

Nel 1866, dopo l’Unità d’Italia, il direttore della Real Casa Savoia, Annibale Sacco, decise che i tesori delle varie regge borboniche dovessero essere tutti concentrati nella reggia di Capodimonte. Così il salottino di Portici fu smontato pezzo per pezzo e rimontato nella nuova collocazione, dove può essere visitato ancora oggi, tranne il soffitto, che venne spostato solo nel 1957.