Tra le varie eruzioni flegree ricostruite solo grazie alla ricerca geologica, una è stata raccontata e documentata in tutti i suoi momenti e le sue manifestazioni da appassionati cronisti, che non vollero perdere l’occasione per verificare direttamente un così particolare e spettacolare evento naturale.
Era il 29 settembre 1538 quando, dopo giorni contrassegnati da una notevole attività sismica, il mare si ritirò davanti a Pozzuoli. L’indomani, in un sito alle spalle del lago Lucrino, ebbe inizio un’eruzione che spinse gli abitanti a fuggire verso Napoli. I materiali eruttati in appena due giorni formarono un nuovo edificio vulcanico, che diventò visibile solo ai primi di ottobre, quando si diradò la nuvola di ceneri. E apparve allora chiaro che era stato completamente sepolto il villaggio di Tripergole e numerosi manufatti di età romana presenti in quella zona. A cominciare dalla villa di Cicerone, nota come “Academia”, insieme a strutture termali.

Proprio per la presenza di rinomate acque termali utilizzate a scopo terapeutico, fin dal Medio Evo nelle vicinanze del Lucrino era sorto l’abitato di Tripergole, sviluppatosi soprattutto in epoca angioina. Lì Carlo II d’Angiò aveva fatto costruire un ospedale, oltre a una residenza reale per la caccia. E nel tempo il villaggio si era ingrandito. Ma l’eruzione non lo aveva risparmiato e dovette prenderne atto anche il vicerè don Pedro di Toledo, accorso nei Campi Flegrei per rendersi conto degli accadimenti. Non fu l’unico. Approfittando della ridotta attività nei giorni seguenti all’eruzione, diversi visitatori si avventurarono vicino al vulcano. Fu per questo che, quando il 6 ottobre all’improvviso si verificò una nuova violenta emissione di materiali, si contarono diverse vittime. E da Napoli partì allora una processione con la reliquia del capo di San Gennaro per fermare i fenomeni. Finalmente, nei giorni seguenti la zona del nuovo cratere si acquietò.

A distanza di cinque secoli, il monte Nuovo, conta due caldere, la più piccola delle quali accoglie dal 1930 una pineta. Nella parte più ombrosa della caldera maggiore cresce una rigogliosa lecceta, mentre l’intero monte è coperto di vegetazione, perlopiù macchia mediterranea. Un’oasi naturale che, oggi, è meta ideale di escursioni per appassionati di trekking.