Sembra il giochino delle associazioni di parole che facevamo da bambini. Ebbene, io e Giacomo abbiamo trascorso un’estate intera a coltivare questo campo di mais, ormai siamo quasi contadini provetti, abbiamo irrigato ogni dieci giorni e abbiamo lottato per allontanare i cinghiali che ne sono ghiottissimi. Fino a quando non è arrivato a maturazione ci siamo divertiti a fare le pannocchie arrostite e mangiarle.
Tempo fa comprai un mulinetto a pietra di quelli casalinghi per avere la farina fresca ogni volta che la desideravo.
È comodo, lo uso per macinare tutti i cereali e legumi che voglio far diventare farina. Insomma coltivare questo mais è un gioco da ragazzi! Niente cervello, tanto amore, tanta passione, tanto lavoro e tutto questo per mangiare un sano piatto di polenta. Piatto povero dei poveri per eccellenza eppur tanto ricco di storia, forse per questo è rimasto nella nostra tradizione. Il mais è nato praticamente con l’uomo e seppure in Europa è arrivato con Cristoforo Colombo, ha subito conquistato i nostri campi e le nostre tavole. La farina di mais era cibo quasi quotidiano, a volte si mischiava ad altre farine a seconda delle possibilità, per farne farinate e pane, anche se di scarsa sostanza.
A Pietravairano si diceva nu piattu ‘e farinata p’ sagli e scegni ‘a scalinata, cioè un piatto di farinata si smaltiva facilmente salendo e scendendo una scala, proprio perché poco sostanziosa. Ovvio che per arricchirla si usavano sughi a base di carne di maiale o ossa bollite, formaggi o selvaggina. Per cuocerla serviva un grosso paiolo e un bel fuoco, era un rito quasi sacro, un giusto equilibrio tra calore e abilità nel non far formare i grumi, era un riempipancia che però tutti aspettavano e desideravano. Forse era l’unico pasto caldo della giornata, era il più buono, quello mangiato al caldo vicino al fuoco mentre gli anziani raccontavano vecchie storie, i cunti e i ragazzi ascoltavano con l’ingordigia del sapere. Era il condividersi non solo un piatto caldo sudato con fatica ma era condividere anche tutto il loro sapere, la storia popolare, le leggende, le credenze e le superstizioni. Momenti di umanità e intrattenimento, erano momenti unici di famiglie enormi e unite.
Polenta a modo mio
A questo punto la polenta è pronta per essere condita. A noi piace semplice. Faccio soffriggere tanto aglio tritato in olio d’oliva che vado a versare nella pentola, aggiungo tanto formaggio grattugiato, mescolo bene impiatto e servo. Giuseppe è sempre il primo a finirla per la mia gioia. Anche se ogni tanto mi chiede la versione al forno che è decisamente però un piatto domenicale tanto è prelibato.
Polenta con sugo di “carne salsicciara”


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