A pochi passi dal Duomo, c’è un’altra chiesa che lascia piacevolmente sorpresi appena se ne varca la soglia.
Le trasformazioni che l’hanno interessata nel corso dei secoli, l’hanno arricchita di opere d’arte e di pregevoli dettagli in ogni centimetro delle superfici interne. Con una netta prevalenza, anche visiva, di sontuosi elementi sei-settecenteschi che fanno della chiesa di San Giorgio, dedicata anche al Santo Spirito, il più bell’edificio barocco di Salerno e uno dei monumenti più rappresentativi di quello stile artistico in Campania.
In origine, in piena età longobarda, la chiesa era parte integrante di un complesso monastico femminile, che nell’819 era ancora subordinato al monastero benedettino di San Vincenzo al Volturno, prima di passare dal 1163 sotto la responsabilità dell’Arcivescovo di Salerno. Il ritrovamento, qualche anno fa, di tracce di affreschi absidali del IX secolo ha confermato che si tratta di uno dei più antichi monasteri della città. E fu in esso che alla fine del XVI secolo, a seguito del provvedimento con cui il Papa Sisto V aveva imposto l’unificazione nei vari territori dei monasteri dello stesso ordine, si trasferirono a San Giorgio tutte le monache benedettine di Salerno.
Già intorno al 1670 era iniziata la mutazione estetica della chiesa, destinata a protrarsi per qualche decennio. Così l’antico edificio fu rimodernato e ne fu cambiato profondamente l’aspetto con qualche intervento strutturale, ma soprattutto con l’inserimento ovunque di stucchi e dorature, di nuovi affreschi e sculture che ne fecero un capolavoro barocco. Ma all’inizio del XVIII secolo si rese necessario un ampliamento degli spazi del monastero, che fu affidato nel 1711 ad uno dei più affermati architetti della capitale, Ferdinando Sanfelice. Il progetto e i successivi lavori portarono a sviluppare gli spazi ad uso dei monaci ai lati della chiesa. Appena un secolo, tuttavia, e i decreti napoleonici soppressero gli ordini religiosi, anche se la chiusura del convento avvenne solo nel 1866, quando i locali alla destra e alla sinistra dell’edificio sacro furono occupati da caserme della Finanza e dei carabinieri, com’è ancora oggi. Quanto alla chiesa, nel 1874 fu ceduta alla Confraternita del Purgatorio, che la tenne fino al 1960, quando il sito benedettino passò nella disponibilità dei domenicani.
Si entra nell’edificio sacro attraverso un portale cinquecentesco, commissionato dall’allora badessa Lucrezia Santomagno. All’interno, la chiesa si presenta ad un’unica navata, illuminata da grandi finestroni posti in alto, corredata da cappelle laterali e coperta da una volta a botte finemente affrescata. Il corpo quadrangolare centrale, tra la navata e il transetto, sorregge la cupola. Dietro l’altare maggiore, di marmi policromi e inserti di madreperla con bassorilievi e sculture, il coro fu eliminato a inizio Settecento per fare spazio alla sacrestia. Un altro intervento importante riguardò nell’Ottocento la traslazione della facciata, per metterla in linea con la sede stradale.
In San Giorgio operarono alcuni tra i più grandi artisti del Sei-Settecento napoletano. Dei preziosi affreschi che adornano la chiesa il più antico, nella seconda cappella a destra, risale al 1523 è di Andrea Sabatini e raffigura una Madonna e il Bambino con i Santi e una suora orante. La prima cappella a sinistra ospita la Sacra Famiglia con San Giovanni di Giacinto de Populi del 1669. Lo stesso artista è autore anche di un San Gregorio Magno e de La visione di San Nicola di Bari nella quarta cappella. La terza cappella, dedicata alle Sante Tecla, Archelaa e Susanna, è impreziosita dai pannelli murali con il ciclo delle Sante condotte al martirio, da Le Sante in meditazione e da La visione di suor Agnata, dipinti del grande Francesco Solimena. Che ha firmato anche un San Michele nella quarta cappella a destra. Nella terza si trova un affresco raffigurante la Trinità, San Gioacchino, Sant’Anna e la Vergine Bambina di Giacinto de Populi. Oltre a Francesco, operò in San Giorgio anche il padre, Angelo Solimena, artefice di tutti gli affreschi dei sottarchi delle cappelle, della navata, della cupola e del presbiterio. Sempre di Angelo è anche il ciclo di affreschi del 1675, raffigurante la Passione nella volta della cantoria, e il suo magnifico Paradiso. Pregevole anche il contributo di un altro illustre maestro di quel periodo, Paolo De Matteis, autore delle tele con le allegorie delle Virtù.
Di grande valore è il pavimento originario della chiesa, in maioliche con decorazione di foglie d’acanto, fiori e motivi geometrici a microscacchiera. Una parte è mobile, al fine di consentire l’accesso alla parte più antica dell’intero complesso monastico, risalente al VII secolo, dunque all’epoca longobarda. Vi si ammirano ancora parti dell’abside affrescata con una serie di Santi. Nella sacrestia dietro l’altare maggiore, anch’essa abbellita da stucchi dorati, si distingue una Vergine che dà la pianeta a Sant’Ildefonso, un affresco di Michele Ricciardi.
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