Era di ritorno dall’Oriente, Ottaviano, l’uomo più potente di Roma dopo la vittoria di Azio e la conquista dell’Egitto, quando nel 29 a.C. si fermò per la prima volta a Capri.
Come narra Svetonio, al suo passaggio un vecchio leccio completamente secco tornò a coprirsi di gemme. Ottaviano lo considerò un buon presagio e volle possedere l’isola, che apparteneva a Neapolis. Per averla, cedette di nuovo ai Napoletani Aenaria, l’isola d’Ischia, a quel tempo sotto il controllo di Roma. Così Capri divenne un dominio privato dell’imperatore, che vi si recava spesso. Fu lui a far costruire la prima villa sopra Marina Grande, nel luogo ancora conosciuto come Palazzo a Mare. Nell’amatissima Apragopolis, la “città del dolce far niente” come la chiamava, Augusto fece edificare altre residenze vicino al mare, con capienti cisterne per l’acqua piovana come quella donata agli abitanti dell’isola. E creò un museo personale con le ossa di animali preistorici e gli utensili dell’età delle pietra emersi dal terreno. Dopo Augusto, che a Capri si era fermato qualche giorno nell’ultimo viaggio prima di perdere la vita a Nola, nel 14 d.C., anche il suo erede Tiberio predilesse Capri. Vi si trasferì perfino, per dieci anni, facendone il centro dell’impero. Al contrario del predecessore, scelse per le sue residenze zone più impervie, affacciate a settentrione. Come la più famosa, Villa Jovis, sul monte Tiberio, vicino alla quale si erge il faro che con quelli di Capo Atheneo nella Penisola Sorrentina e di Miseno, dall’altra parte del golfo, facilitava le comunicazioni con Roma e il governo dell’impero. Villa Jovis, come la Damecuta sull’omonimo promontorio ad Anacapri, era dotata di un lungo porticato coperto, dove l’imperatore amava passeggiare osservando il panorama, con belvedere e spazi per la sosta. Dodici ville costruirono gli imperatori sull’isola prediletta, che Tiberio aveva dotato del porto. E l’impronta romana è ancora presente nell’architettura di quanto costruito fino ai giorni nostri.
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