È un periodo meno conosciuto della storia di Ischia, di cui di solito sono in evidenza altre fasi, più antiche o più moderne.

Don Pietro Monti 1970Eppure, anche in epoca tardo antica e alto medievale, l’isola ha avuto un ruolo tutt’altro che trascurabile nella storia di Napoli e del Mediterraneo, come ha ben evidenziato il professor Federico Marazzi, docente di Archeologia cristiana e medievale presso l’Università “Suor Orsola Benincasa” di Napoli, nell’incontro su “L’archeologia delle isole” nell’ambito di Isole Verdi, il corso per operatori turistici promosso dall’Area Marina Protetta Regno di Nettuno.Un intervento da esperto, ma anche da frequentatore di lunga data profondamente legato all’isola, dove, fin da ragazzo, aveva avuto modo pure di coltivare la sua passione per l’archeologia.

Don Pietro Monti 1970Lì dove Giorgio Buchner aveva ritrovato Pithekoussai e don Pietro Monti continuava a scavare, ripercorrendo a ritroso ventotto secoli di storia attraverso le testimonianze custodite nel ventre della terra sotto la basilica di Santa Restituta di cui era rettore.

Don Pietro Monti 1970Proprio don Pietro, da sacerdote, fu il primo a comprendere il valore dei materiali dell’alto Medio Evo che emergevano dal sito già prodigo di reperti delle epoche precedenti. Un’attività pionieristica, negli anni ’60-’70 del Novecento, quando scarsa era l’attenzione verso quel periodo storico, alla cui ricostruzione lui capì che Ischia poteva dare un contributo fondamentale.

E fu così anche il primo a pubblicare quella storia in “Ischia altomedievale”, uscito nei primi anni ’80, un volume insostituibile per i dati che ha fatto conoscere rendendoli disponibili a tutti, a prescindere dal fatto che possa allora aver preso degli abbagli in qualche parte della sua ricostruzione.

Nel 1985, poi, Marazzi partecipò allo studio di quei materiali lacchesi con gli allievi del corso di Archeologia cristiana tenuto dalla professoressa Anna Maria Giuntella dell’Università “La Sapienza” di Roma.

Don Pietro Monti 1970

Il Mediterraneo, la grande strada dei commerci nell’antichità

Dopo l’editto di Costantino del 313 d.C., che introduceva la libertà di culto per tutti, compresi i cristiani, mettendo fine alle persecuzioni nei loro confronti, l’Impero Romano univa ancora tre continenti e governava un territorio tre volte quello dell’attuale Unione europea, inglobando anche l’intero Mediterraneo. E se i collegamenti terrestri erano estremamente complicati date le possibilità del tempo, invece il mare rappresentava la via più sicura, affidabile e breve.

Scambi vivacissimi si svolgevano tra le sponde del Mare nostrum e per ricostruire il movimento marittimo in quei tempi lontani decisiva è la ceramica, il materiale pressochè indistruttibile che resiste all’usura del tempo, largamente diffuso perché di esso sono fatti tanti oggetti di uso quotidiano, e con un design che connota le diverse epoche e “mode”. Con il vantaggio ulteriore che, attraverso l’analisi dell’argilla, se ne può individuare la provenienza e dunque il luogo di produzione e di partenza dei manufatti.

Don Pietro Monti 1970

Merci di qualunque tipo viaggiavano nelle stive delle navi nelle anfore di terracotta: vino, olio, garum e cereali. I reperti conservati nei relitti delle navi sono utili a confermare o ad arricchire il quadro ricostruito attraverso i materiali recuperati negli scavi archeologici a terra. E nel IV e V secolo la ceramica che viaggiava sotto varie forme sulle rotte del Mediterraneo era la “sigillata chiara”, dal caratteristico colore arancio. Era prodotta in Tunisia, in Palestina e in Turchia ed è stata ritrovata ovunque. Sulle navi, gli oggetti in “sigillata” – alcuni, come le lucerne, con simboli cristiani - venivano caricati insieme a derrate e merci di ogni genere e stivati con una certa cura, perché erano destinati al commercio al minuto ed erano molto più remunerativi degli altri prodotti.

Le navi facevano scalo perlopiù nei grandi porti delle megalopoli del tempo: Roma, la più grande che arrivò a contare un milione di abitanti, Costantinopoli, Alessandria, Cartagine. Da lì, sfruttando le vie d’acqua dei fiumi, venivano distribuite all’interno dei territori, sempre nell’intento di ridurre al massimo la complicata circolazione via terra. In questa rete erano inseriti anche degli scali medi o piccoli, strategici sulle diverse rotte tra Oriente e Occidente, l’Africa settentrionale e l’Europa.

La ricostruzione dei traffici commerciali è essenziale per conoscere l’economia nel mondo antico. La caduta dell’Impero Romano nel 476 d.C. ebbe grosse ripercussioni sull’economia incentrata sul Mediterraneo, ma per un certo periodo gli scambi continuarono ad essere intensi. Poi, in progressione, la rete commerciale romana cominciò a perdere pezzi: l’Inghilterra, la Francia del nord, mentre il sud con Marsiglia era ancora legato al Mediterraneo, e i territori del Nord Europa che crearono una nuova rete commerciale.

 

L’Italia sotto il controllo bizantino

L’Italia, centrale nel sistema dell’Impero Romano d’Occidente, continuò ad essere un riferimento fondamentale anche nel nuovo assetto incentrato sull’Impero Romano d’Oriente, quando la penisola passò sotto il dominio bizantino nel VI secolo. Ma già intorno al 630-640 fa irruzione nella storia l’espansione araba, che in poco tempo porta al controllo islamico sull’impero persiano e poi su gran parte del bacino mediterraneo, dalla sponda mediorientale a quella nord-africana, fino alla Spagna. I bizantini mantengono il controllo in Anatolia, Turchia e in alcune zone strategiche dell’Occidente e dell’Italia. Tra le quali Napoli con il suo golfo e le isole, avamposti fondamentali dell’impero bizantino per conservare una rete commerciale e, dunque, difendere per quanto possibile il loro potere economico e la loro influenza politica sull’Italia.

 

Lacco Ameno scalo strategico per il potere bizantino

Grazie alla continua ricerca archeologica di don Pietro Monti, ha trovato conferma il ruolo importante che il porto di Lacco ebbe durante il periodo di controllo bizantino su Napoli e il suo golfo. La prima chiesa di Santa Restituta risale probabilmente al V secolo, cioè proprio a quell’epoca. Gli scavi del sacerdote archeologo hanno permesso di identificare una zona artigianale e una funeraria ai margini dell’abitato, che si sviluppava tra la piazza Santa Restituta e la scuola su corso Angelo Rizzoli.

Informazioni preziose per la ricostruzione degli usi locali e della vita quotidiana nella Lacco paleocristiana e altomedievale sono arrivate dal cosiddetto Scarico di Casa Migliaccio, in via Messer Onofrio, dov’era a quell’epoca la discarica dell’abitato, su cui poi furono fatte delle sepolture, per poi, in un’ulteriore stratificazione, tornare ad essere discarica. Un utilizzo ideale a posteriori, per la quantità e varietà dei materiali che ha conservato.

La zona della marina era destinata al porto, uno scalo intermedio strategico per i rifornimenti sulle rotte tra Napoli, Roma e la Liguria, cioè quanto rimaneva della rete commerciale controllata dai bizantini nel Tirreno. Lì giungevano prodotti africani e orientali e venivano imbarcate le produzioni dell’isola. Soprattutto ceramica, di cui sono stati trovati stampi e scarti di produzione nelle fornaci. Con le argille di qualità presenti sull’isola si facevano produzioni industriali di vasellame da mensa, di anfore, ritrovati anche nei corredi funerari. I vasi e i piatti prodotti a Ischia allora erano o privi di dipinture, senza colore, o abbelliti da pennellate rosso bruno.

 

Il valore della collezione altomedievale degli Scavi di Santa Restituta

Reperti di quel periodo sono negli Scavi di Santa Restituta, esposti nel Museo realizzato da don Pietro e ora da anni chiuso al pubblico. Tanto importanti, quelle testimonianze, che Marazzi le ha proposte al direttore del Mann Giulierini, per esporle nella mostra che il Museo Archeologico Nazionale di Napoli sta preparando su Bisanzio. I materiali provenienti da Ischia saranno restaurati, prima di essere esposti a Napoli per un eventi culturale di respiro internazionale.

Don Pietro Monti 1970

Marazzi ha sottolineato la lungimirante intuizione di don Pietro nel comprendere l’importanza non secondaria rispetto alle testimonianze di epoca greca e romana di quelle paleocristiane e altomedievali, ritrovate soprattutto nella stratificazione del sito sotto la chiesa e la piazza di Santa Restituta, ma anche in altre parti dell’isola, come in zona Cilento a Ischia.

Non meno significativa, all’avanguardia, è stata l’azione del prete-archeologo nella musealizzazione dello scavo e nella ricostruzione dei contesti in cui collocare i materiali rinvenuti: oggi è la norma negli allestimenti museali, ma quando lo fece don Pietro era qualcosa di assolutamente inusuale e innovativo. Così, il sacerdote lacchese valorizzò al meglio, per il suo tempo, reperti che dimostrano come Ischia non sia stata un posto qualunque in tanti momenti fondamentali della storia del Mediterraneo e dell’Occidente.

 

Dall’abitato costiero agli insediamenti nell’interno dell’isola

Nel VII secolo, il sito archeologico lacchese non presenta più tracce di scambi con l’oriente e l’Africa, ma solo prodotti locali e di provenienza siciliana o forse imitati sull’isola. È il segnale che è calato il sole sul Mediterraneo tardo-antico. La conquista araba di Cartagine nel 697 blocca gli scambi bizantini con il nord-Africa a cui non si sostituisce una nuova rete di scambi mediterranei altrettanto vitale, gestita dai nuovi doDon Pietro Monti 1970minatori, peraltro sempre più in espansione anche in Europa. All’origine di questo cambiamento epocale, lo spostamento del baricentro degli interessi commerciali dall’Europa mediterranea, sempre più impoverita, al Mar Rosso e all’Oceano Indiano, sulle nuove rotte utili ai più ricchi commerci con India e Cina. Dall’Europa gli Arabi importano ormai solo legname, materie prime e schiavi, per le produzioni di qualità si rivolgono altrove. E i porti di Napoli e delle isole diventano marginali.

Nel nuovo assetto geopolitico il Mediterraneo non solo perde centralità, ma diventa confine tra interessi e poteri contrastanti, luogo di conflitti tra gli Arabi e i Bizantini. Mentre i commerci dell’Europa con l’Oriente si svolgono ormai non più nel Mare nostrum, sempre più arabo, ma attraverso la grande pianura russa.

Nel IX secolo gli Arabi conquistano la Sicilia, fondano tre emirati in Puglia, dilagano nel Mediterraneo, arrivano fino a Roma, dove nel 846 saccheggiano la Basilica di San Pietro. Così, nell’871 per bloccare l’inesorabile avanzata islamica, si stringe l’alleanza tra i due ex nemici Bizantini e Franchi, ormai padroni dell’Europa centro-settentrionale.

Napoletani e Amalfitani fanno affari con gli Arabi e ne favoriscono il rafforzamento nel Tirreno, dove la conflittualità è alta e le rotte sempre meno sicure. La stessa Napoli è sul punto di passare sotto il controllo islamico. E Ischia subisce uno tra i primi e più violenti attacchi da parte araba, con morti e distruzioni. Un evento a cui le cronache attribuiscono la causa dello spopolamento dell’isola.

In effetti, non si sono trovate evidenze archeologiche a Lacco di quel periodo. Una improvvisa cesura si verifica tra i reperti del prima e il nulla del dopo. E, invece, corrispondono a  quell’epoca ritrovamenti significativi in altre zone dell’isola: Fango, piazza Maio, Zaro, La Rita, San Michele a Ischia, Fontana e Barano.

Molto probabilmente, come è accaduto in altre parti d’Italia, gli attacchi ai centri costieri spinsero gli abitanti a spostarsi nell’interno e cambiarono anche l’economia isolana, sempre più incentrata sull’attività agricola piuttosto che sui commerci marittimi. E così Ischia si trasformò in un’”isola di terra”.

 AREA MARINA PROTETTA DELLE ISOLE FLEGREE REGNO DI NETTUNO

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