Il clima dolce e salubre era la sua prima, riconosciuta attrattiva. Insieme alla fertilità della terra e alla bellezza della campagna.
Gaetano Donizetti

Perciò già i Romani avevano apprezzato quella vasta pianura all’interno della Campania, su cui sembrava vegliare pacifico un monte, coperto anch’esso di vegetazione. Lì i ricchi romani avevano costruito ville rustiche per godere dell’aria buona durante i loro soggiorni, ma anche per impiantarvi vigne, oliveti e orti, che davano frutti ottimi e copiosi. Poi, l’eruzione della tranquilla montagna aveva cambiato la scenografia naturale di quei luoghi e sepolto le ville e i terreni circostanti. E in seguito altre volte il Vesuvio, che aveva ormai rivelato la sua natura, aveva sconvolto quelle terre, donando loro però la fertilità che le rendeva rinomate. Era passato oltre un secolo ormai dall’ultima, grande eruzione del 1631, quando tornarono numerosi i “signori” dalla città, nobili possidenti e anche ricchi borghesi in grado di acquistare terreni e di edificarvi nuove ville di campagna. Così, tra il XVIII e il XIX secolo, la piana vesuviana tornò meta di villeggiatura, nelle masserie rustiche, immerse nella fertile campagna, o nei palazzi e ville edificati nei due borghi vicini di Pollena e di Trocchia, entrati ben presto tra le mete predilette del fior fiore della Napoli dell’Ottocento. 

A Pollena, aveva la sua residenza di campagna, tra gli altri, anche il potente ministro dell’Interno del Regno delle Due Sicilie, Nicola Santangelo. La sua splendida villa, in cui era esposta una collezione di preziosi vasi etruschi e monete antiche (oggi custodita presso il Museo Archeologico Nazionale a Napoli), era famosa anche per una enorme e sontuosa sala da ballo. Una villa degna di un re e infatti capitava di sovente che Ferdinando II di Borbone vi fosse ospite con importanti cortigiani. Se della villa non resta più che la memoria, giacchè fu abbattuta negli anni ’60 del Novecento, presso l’Archivio di Stato si conserva, invece, una foto della carrozza con il re in viaggio verso Pollena.

Nella piazza principale di Trocchia, che prende il nome dai Capece Minutolo proprietari di un famoso palazzo ristrutturato nel 1741, oggi in corso di restauro, s’innalza con altri anche l’imponente edificio di inizio Ottocento appartenuto alla nobile famiglia Pallamollamarchesi di Poppano. Era una delle residenze di villeggiatura “firmate” da famosi architetti e abbellite dai migliori artisti della capitale. Tra gli ospiti più frequenti del palazzo c’erano i marchesi Cavalcanti, proprietari di un podere fuori Trocchia, nella località conosciuta come Vigna

A loro volta, i Cavalcanti accoglievano durante la bella stagione qualche ospite illustre nella villa Pallamolla. Tra quelli, figurava il già famoso compositore Gaetano Donizetti. Ad attirarlo a Trocchia era proprio la tranquilla atmosfera agreste del podere fuori paese. Lì, su un sasso ai piedi di un grande ulivo, trascorreva il suo tempo, in un ozio prezioso per alimentare la sua vena creativa. Pare che in parte sia stata ispirata in quel luogo la sua opera più celebre, la Lucia di Lammermoor, scritta in sole sei settimane e completata proprio nel luglio 1835, tre mesi prima di essere rappresentata al San Carlo, dove il 26 settembre ottenne un clamoroso successo. Le prime note di alcune delle celeberrime arie della  “Lucia” furono provate da Donizetti, che allora era anche il direttore artistico del Real Teatro di San Carlo, proprio sull’organo a mantice della chiesa della Santissima Annunziata di Trocchia.

A ricordo di quella illustre presenza, nel 1911 il conte Caracciolo fece apporre una lapide commemorativa sulla facciata del palazzo di Trocchia in cui era ospite Donizetti. Lapide ancora visibile sul prospetto dell’edificio che, per fortuna, conserva ancora il suo aspetto originario.  

Ph: Wikipedia, Gaetano Donizetti (portrait_by_Giuseppe_Rillosi)